La Giostra by Giorgia Viola

La Giostra by Giorgia Viola

autore:Giorgia Viola
La lingua: ita
Format: epub
editore: ilmiolibro.it
pubblicato: 2016-01-08T00:00:00+00:00


6. Cecità da desiderio

Quando uscii dalla rianimazione, i parenti mi accolsero come se fossi sbarcata dalla luna. Erano preoccupati, ansiosi di saperne di più e speranzosi di ricevere buone notizie. Descrissi loro, con accuratezza, ciò che avevo visto ma non esternai l’intero colloquio con la caporeparto. Ero troppo confusa e sconfortata. Papà mi prese con grinta sotto la sua spalla ed uscimmo dall’ospedale. Volle che a guidare la macchina fossi io. Lui aveva bisogno di tirar fuori, di ordinare le informazioni della giornata, compresi gli aneddoti altrui. Iniziò dal chiedermi, ex novo, delle condizioni di mamma, per poi passare al racconto di tutti i casi in rianimazione. Io piangevo lacrime mute, copiose e disperate e lui si arrabbiava.

«Hai visto quel ragazzo? Sono quattro mesi che è in coma, eppure muove gli occhi!», affermò con vigore, quasi fosse arrabbiato per il mio dolore.

L’ultima volta che aveva pronunciato una frase simile, era stato un anno prima, quando decisi di far addormentare il nostro cane il quale, dopo aver subito quattro operazioni ed essere stato aperto dalla gola alle ovaie, non faceva più alcun movimento, se non quello oculare. Al suo “Ma mi segue con gli occhi…”, risposi: «Vai a scavare una fossa, che io chiamo il veterinario.»

La vita e la morte hanno ormoni, posture, comportamenti e volti, palesemente diversi tra loro e mio padre non riusciva ad ammetterlo. Di fatto, quel ragazzo, morì nel giro di qualche settimana.

«Papà… per favore… non è il caso di mamma! Non fare l’errore di pensare che il destino di tutte quelle persone sia uguale. Prova a separare quello che ti viene raccontato da come stanno veramente le cose!»

«Gianna, io non ti capisco! Perché stai così male? È solo una questione di tempo. Vedrai che anche mamma si sveglierà!»

«Papà… ti prego… io ho bisogno di realtà. Non ti preoccupare di me. Anche io ho bisogno di sfogarmi a modo mio. Devi solo promettermi che, da questo momento in poi, vorrai veramente renderti conto della situazione.»

Nel frattempo, arrivò la telefonata di Lino, il quale ci invitava a mangiare un piatto di pasta, a casa sua. Si era fatto tardi e, stanchi come eravamo, accettammo volentieri. Sedetti a tavola, davanti ad un piatto fumante di rigatoni al sugo. Li sollevavo uno alla volta con pesantezza e li mandavo giù a fatica, come se non riuscissero ad attraversare un ingorgo. Lino, seduto a capotavola al mio fianco, aprì la conversazione, esponendo le rassicurazioni che il primario gli aveva fornito: riuscita dell’operazione, dati percentuali di sopravvivenza, visione provvidenziale e fideistica della situazione.

«Puttanate!», ruggii lasciando la forchetta.

«Sei sempre la solita pessimista!», ribatté Lino risentito.

«Volete davvero sapere come stanno le cose? L’operazione non è affatto andata bene così come il grande professore sostiene! L’interruzione di sangue c’è stata e già parlano di una possibile ischemia e di una prossima operazione!»

Avevo scagliato un pesante macigno sulla tavola ed avevo fatto una strage. Dopo attimi di silenzio generale, Lino batté un pugno alla destra del suo piatto: «Non ci posso credere… ci ha salutato come se stesse bene…», disse con gran rimpianto.



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